Neuromielite ottica, nuova cura grazie a un anticorpo monoclonale?

L’utilizzo di uno specifico anticorpo monoclonale potrebbe essere una nuova cura efficace a contrasto della neuromielite ottica. Una malattia che in Italia colpisce più di 1.300 persone e che può comportare gravissime conseguenze, dalla cecità alla morte

 

La neuromielite ottica, nome accorciato spesso in ambito medico con la sigla NMO, è una patologia autoimmune molto rara che solo in Italia riguarda oltre 1.300 persone attualmente.

Si tratta di una malattia devastante per l’uomo, la quale si caratterizza per la presenza di acuti e ricorrenti attacchi al sistema nervoso centrale, dalle conseguenze gravissime.

La neuromielite ottica può portare, infatti, sia alla cecità che alla paralisi che, addirittura, alla morte di chi ne soffre.

Per questo, la comunità scientifica studia quotidianamente nuove cure a contrasto di questa patologia e, ora, un aiuto efficace sembrerebbe poter arrivare dall’utilizzo di un anticorpo monoclonale.

Cos’è la neuromielite ottica

La neuromielite ottica in ambito medico viene definita come una malattia infiammatoria demielinizzante del sistema nervoso centrale presente nel corpo umano.

Essa è stata distinta dalla sclerosi multipla nel 2005, data prima della quale queste due patologie venivano spesso accostate l’una all’altra.

Visita oculistica a una paziente donna
Immagine | Unsplash @CDC – Importpharma.it

Come anticipato in precedenza, la NMO è una malattia autoimmune davvero molto rara e dalle conseguenze devastanti per l’uomo.

Porta molto spesso alla cecità o a paralisi di varia entità e talvolta è caratterizzata dalla presenza anche di neurite ottica, mielite trasversa estesa longitudinalmente e di immunoglobuline di classe G (IgG) anti-acquaporina 4 (AQP4-IgG) nel sangue (queste patologie non si presentano per forza tutte contemporaneamente, ndr).

Si tratta di una serie di auto-anticorpi che riescono a dar vita a una reazione autoimmunitaria, la quale comporta come risultato la distruzione della mielina, una sostanza che avvolge i nervi, come per isolarli.

Nello specifico, a caratterizzare la neuromielite ottica è la presenza del già citato anticorpo anti AQP-4 IgG, il quale colpisce l’acquaporina 4 (si tratta di un’importante proteina-canale delle cellule umane, ndr).

Entrando più nel concreto, l’anticorpo in questione attacca gli astrociti, cellule che regolano il passaggio dell’acqua nei tessuti nervosi, oltre che le attività elettriche dei neuroni e la stabilizzazione della copertura protettiva dei nervi, ovvero la mielina.

È così che, colpendo i canali proteici deputati al trasporto dell’acqua degli astrociti, l’anticorpo riesce a distruggere la guaina mielinica per mezzo di una reazione infiammatoria e grave a un accumulo di acqua nella guaina mielinica stessa.

Tutto questo processo dà come conseguenza l’emersione di una sintomatologia visiva, motoria e sensitiva.

Ecco spiegata la causa alla base della neuromielite ottica, malattia che colpisce soprattutto le donne e i bambini, ma che può presentarsi più frequentemente anche in persone già affette da altre malattie autoimmuni, come per esempio la celiachia, la sarcoidosi, la miastenia gravis, il lupus eritematoso sistemico e la malattia di Sjogren.

Va detto che, stando alle statistiche, la neuromielite ottica nel 20% dei casi si manifesta a seguito di un’infezione virale e spesso si presenta come una neurite ottica isolata o come una mielite trasversa.

I sintomi più frequenti sono un rapido e progressivo calo della vista (prima da un solo occhio e poi anche dall’altro, ndr), un generale senso di debolezza, insensibilità e un forte dolore a dorso e collo.

Lo sviluppo della malattia, in molti casi, porta poi il paziente a sviluppare un’impossibilità nel muovere i propri arti e nel controllare vescica e intestino.

A essere irreversibile è il già citato calo della vista, il quale è difficile da diagnosticare preventivamente.

Spesso, visitando l’occhio del paziente malato, l’oculista non trova nulla di patologico, ma può accadere che esso rilevi un lieve edema del disco ottico, il quale lascia il posto all’atrofia ottica (irrimediabile e completa perdita di fibre nervose, ndr), causa proprio del calo visivo.

Come fare quindi per capire se si è colpiti da tale patologia?

Si parte sottoponendosi a un esame del sangue, attraverso il quale è possibile verificare se si è positivi alla presenza di anticorpi anti-acquaporina 4 o anti-glicoproteina oligodendrocitica mielinica (anti MOG).

Per mezzo dell’esame del liquor si può, poi, registrare la presenza di globuli bianchi in numerose quantità e di proteine, mentre a mostrare se il nervo ottico e il midollo spinale sono coinvolti è una risonanza magnetica nucleare.

Appurata la presenza di neuromielite ottica, è quindi possibile sottoporsi a una serie di cure e trattamenti, i cui esiti non sempre portano però a una ripresa sensitiva e motoria, la quale è comunque in ogni caso sempre parziale e mai completa.

Anticorpo monoclonale come nuova cura

Solitamente il trattamento della neuromielite ottica prevede la somministrazione di antinfiammatori steroidei (dei cortisonici, ndr) nella fase più acuta, mentre nella gestione cronica vengono spesso impiegati agenti immunosoppressori come il micofenolato, l’azatioprina e il metotrexate, oltre che farmaci biologici.

Ora, però, una nuova cura potrebbe essere quella che si basa sull’utilizzo di uno specifico anticorpo monoclonale.

Modellino di un occhio umano per studio medico
Immagine | Unsplash @HarpreetSingh – Importpharma.it

A dimostrarlo è una ricerca condotta da Altems Advisory, spin-off dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, nella quale sono stati indagati gli aspetti economici, organizzativi e sociali legati alla terapia inebilizumab per i pazienti adulti affetti da NMO.

I dati ottenuti sono stati presentati nell’ambito del convegno nazionale “Change Direction in NMOSD” in corso di svolgimento in questi giorni a Roma e durante il quale si sta discutendo di come poter curare la neuromielite ottica in maniera efficace e senza gravare troppo sul portafogli dei pazienti.

La NMO in tutta Europa colpisce oltre 10.000 persone, di età generalmente sopra i 40 anni, e solo in Italia si attestano 100 nuovi casi ogni anno.

Come specificato nel paragrafo precedente, l’evoluzione della malattia porta chi ne soffre a sviluppare danni gravi e spesso solo parzialmente reversibili a livello del nervo ottico, del midollo spinale e del tronco encefalico.

Conseguenze devastanti che richiedono, quindi, cure continue e adeguate, senza le quali il rischio di morbilità e mortalità è altissimo.

Secondo le stime, un paziente su tre muore entro cinque anni dal primo attacco se non debitamente curato, mentre uno su due finisce in sedia a rotelle.

Da qui, la necessità di trovare nuove forme di cura, a supporto anche di quei pazienti che non possono permettersi economicamente trattamenti troppo costosi.

Lo scorso marzo, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha così deciso di approvare come terapia di seconda linea la rimborsabilità di inebilizumab per tutti i pazienti adulti affetti da NMO.

Si tratta di un anticorpo monoclonale capace di ridurre la quantità di linfociti B che esprimono l’antigene CD19.

Il suo utilizzo è approvato per il trattamento dei pazienti sieropositivi per le immunoglobuline F anti-acquaporina 4, presenti praticamente in quasi il 75% dei pazienti affetti da neuromielite ottica.

La somministrazione del farmaco avviene per via endovenosa, con una prima fase di induzione che dura 15 giorni e seguita successivamente da un richiamo ogni sei mesi (la cosiddetta fase di mantenimento, ndr).

Tempistiche che permettono di abbassare i costi del trattamento e sottoporre i pazienti a un minore stress.

Una soluzione perfetta per chi è già costretto a confrontarsi con una patologia che causa molto dolore e sofferenza, sia fisica che psicologica.

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